Molti chiedono di imparare a gestirle, ad attivarle quando le vogliono ed abbassarne l’intensità quando non le vogliono.
I corsi di meditazione e yoga si moltiplicano continuamente, nella ricerca delle persone di trovare uno spazio libero dall’ansia quotidiana, dalla pressione, dai pensieri.
Allora mi sembra importante parlarne.
Condividiamo spunti e idee sulle emozioni.
Apriamo con LA GIOIA.
Condivido il TED, in cui Ingrid Fettel cerca risposta alla domanda: Come la realtà, tangibile e concreta, può generale qualcosa di intangibile come la Gioia?
Qualche giorno fa un mio caro amico, psicoterapeuta, mi ha regalato un libro: Mi vado bene? Autostima e assertività.
Un titolo che di per sè mi creerebbe qualche problema.
Sull’autostima negli ultimi vent’anni si è pubblicato di tutto e l’assertività e troppo spesso tradotta in aggressività immotivata.
Il retro di copertina di questo libro però mi aveva colpito, l’avevo trovato serio e… diciamolo, avrei potuto scriverlo io!
Sottoscrivevo ogni singola parola.
Quindi, a leggere…
ed ho trovato un manuale molto operativo, americano nello stile (ti spiego e poi fai un compito subito, su di te) e italiano nella profondità della riflessione.READ MORE
Allo stesso modo, essendo entità complesse e in parte ancora del tutto misteriose, è molto interessante vedere come ne parlano gli esperti e come ne parlano invece le riviste divulgative e i media in generale.
Un grande parallelismo tra questi due elementi così diversi è che in entrambi i casi
chi dice di averli compresi appieno è… chi non è esperto.
Le parole che usi modificano il modo in cui agisci e i risultati che ottieni.
Ognuno di noi vede il mondo secondo la propria prospettiva, data in grande misura dall’esperienza passata.
Le parole che utilizziamo per descrivere la nostra situazione e i nostri obiettivi sono molto predittive delle nostre probabilità di successo.
Imparare ad ascoltare il proprio modo di parlare (anche nel linguaggio interno, tra sé e sé) ci permette di modificarlo e renderlo più funzionale al raggiungimento dei nostri obiettivi.
PARLARE IN MODO DIVERSO SIGNIFICA PENSARE IN MODO DIVERSO. E PENSARE IN MODO DIVERSO CI PERMETTE DI FARE COSE NUOVE E PIÙ GRANDI.
Come abbiamo condiviso nel primo articolo di questa rubrica, per definire quando e come entrare nel feed-back, un primo elemento cruciale è l’utilità.
È importante dare e chiedere feed-back solo quando reputiamo che esso sia utile, e mantenere di esso solo ciò che reputiamo utile.
All’utilità si aggiunge un secondo elemento: la piacevolezza.
Spesso i feed-back vengono distinti in Positivi e Negativi. Intendendo con positivi quelli che esprimono apprezzamento e con negativi quelli che esprimono critica. Dal mio punto di vista questa categorizzazione è fuorviante, perchè si centra sull’emittente.
L’emittente sta esprimendo approvazione o meno rispetto a un comportamento del destinatario. Ma il feed-back è un regalo per il destinatario: è lui il primo attore sulla scena. Non l’emittente…READ MORE
Ascoltare nella maggior parte delle professioni è un elemento non eliminabile. Serve per l’analisi di esigenze formative, per una pianificazione strategica, per un percorso di carriera… quasi sempre, in tutti i lavori, c’è un momento in cui ho bisogno di ricevere informazioni cruciali da un altro essere umano.
Quindi di fare delle domande, spesso, e ascoltare dei contenuti, quasi sempre.
Ascoltare, e soprattutto ascoltare attivamente come dicono gli psicologi, è però una cosa difficilissima da fare. Spesso crediamo di farlo, in realtà facciamo altro, e quindi non otteniamo i risultati che desideriamo.
Condivido su questo un intervento molto interessante e divertente di Ernesto Sirolli sull’ascolto: ecco il video con le trascrizioni.
Sirolli parla di una sua esperienza in Zambia, nella quale collaborando con una ONG ha cercato di portare l’agricoltura nel Paese. Con tragici effetti che non vi anticipo (è veramente comico sentirli da lui!), ma una frase riassume tutto il senso del video e degli errori che molti di noi commettono nel lavoro. Racconta Sirolli di questa conversazione tra i volontari e gli abitanti dello Zambia:
Perchè non ce l’avete detto??
Perchè non ce l’avete mai chiesto.
Come dice anche il mio supervisore di coaching: la prima legge per ascoltare è… tacere!
Fin qui la parte facile. Se avessi appena letto penserei:
Ok, chiaro. Per il mio lavoro è importante capire cosa l’altro vuole e di cosa ha bisogno.
Mi hai detto che la tecnica è tacere.
Sto zitta.
Sono a posto.
Il problema è che tacere con le corde vocali è una condizione per tacere sul serio, ma non l’unica.
Vediamole:
Tacere significa essere in silenzio, fuori e dentro. Ovviamente evitare di parlare (sopra all’altro, addosso a lui). Ma anche evitare di parlare internamente. Se mentre una persona mi parla io ho una radio in testa che manda a tutto volume pregiudizi, opinioni o suggerimenti… non sto affatto facendo silenzio! Mi viene in aiuto una metafora con cui un bravissimo ballerino di tango, Carlitos Espinoza, mi ha spiegato questa idea del tacere. Dice Carlitos che tacere col corpo significa: spegnere l’attivazione che viene da sè e ascoltare cosa ci sta proponendo lui (il ballerino). Anche se sono ferma, se ho il corpo attivato con una molla interna pronta a scattare, non c’è spazio per ascoltare lui.
Lo stesso vale con i pensieri.
Promemoria per monitorare i momenti di radio accesa: un mio insegnante definisce le donne che vanno da sole senza ascoltare il ballerino… trote arpionate che si agitano! Ho reso l’idea? La prossima volta che ti sembra di essere distratto durante un colloquio, pensa che l’altro potrebbe vederti come una trota arpionata che non può aspettare le sue riflessioni!
Ascoltare non è fare la trota arpionata
Tacere ascoltando serve per fare poche ma cruciali domande. Come nell’esempio di Sirolli.
Se non mi chiedi perchè non ho mai coltivato i pomodori nel mio fiorente Paese, non te lo dirò.
Tacere, abbassare la radio interna e chiedere con genuinità quello che serve sapere. Questa per me è un’utile linea di condotta nei colloqui e nelle sessioni di coaching.
Io credo un ascolto vero sia l’unico modo per essere genuinamente insieme all’altro nel suo discorso. E quindi, per aiutarlo.
Il coaching è uno strumento nelle mani della persona che vuole raggiungere un obiettivo.
Se tu hai un obiettivo, un desiderio, una situazione che vuoi migliorare… il coaching è uno strumento nelle tue mani.
Questo strumento funziona benissimo, ancora meglio se funziona la danza tra il coach (il tuo ‘allenatore’ che ti aiuta a procedere verso l’obiettivo) e il coachee (tu). Sotto propongo un video realizzato da Brenè Brown che mostra in modo semplice e chiaro in cosa consiste la danza tra due persone: in un rapporto di empatia.
Che non è dare consigli. Non è simpatia. E’ comprendere profondamente l’altro nella sua situazione. Sulla nave dell’empatia viaggia anche il percorso di coaching.
Buona visione!
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